A casa: meditazioni del quotidiano

A casa: meditazioni del quotidiano

a casaMi muovo, da qualche giorno sola nella casa, con l’intento inconfessato di non fare niente per rompere questa solitudine fisica, come scambi telefonici ricercati, movimenti per recarmi in un qualche posto più affollato.

Se qualcuno chiama non disdegno. Lo stesso, forse, se arrivasse un invito. Di fatto, non accade. Ci sono le azioni quotidiane, come fare la spesa, per es. Portare in passeggiata il cane e governarlo. Dividere con lui un fico tardivo. Gli piacciono anche i fichi, sì. Certo, come contorno. Poi, qualche comunicazione a suoni e sbalzelli con i bimbi piccoli, africani, del mio vicinato. In particolare con la più piccolina, è puro parlottare senza senso (gibberish).

Mi trovo in una sorta di ritiro non voluto, senza regole. In questa campagna addomesticata dalle culture di pesco e, abbandonata a se stessa, nell’ampio giardino che sconfina nei campi.

E non mancano le sorprese, che con un altro sguardo potrei chiamare sfighe.

Per es., mi chiudo fuori – c’è il cane da far uscire dal suo dormitorio – lasciando la chiave nella toppa dall’interno e brandendo, con diligente buon senso e compiacimento, l’altra chiave, con l’intento di non rimanere fuori, appunto.

Ci rimango invece, nuda e cruda. La favella da più di 48 ore fa pochissimo esercizio quindi ci metto un po’ – muovendo occhi e corpo intorno alla casa, prendendo atto e “fotografando” la situazione – per andare dal vicino a chiedere aiuto. Entra il turbo della memoria e per un millesimo, a essa legata, un senso di fastidio. Chiedo un cellulare per chiamare la proprietaria, come una volta ho già fatto nella stessa occasione, pronta a iniziare una lunga trafila. Per fortuna che è l’affittuaria di entrambi. Mi trovo in mano il cellulare… entra un momento di stop, funzionale, come solo lo stop può essere. Vedo allora il vecchio e alto scaleo di ferro, utilizzato per tagliare i rami secchi del monumentale cedro davanti casa, ora spelacchiato. Nel frattempo un’altra occhiata velocissima prende atto della finestra del terrazzo appena accostata.

Restituisco il cellulare all’agile e giovane vicino, gli faccio segno di darmi una mano a portare lo scaleo sul pianerottolo d’ingresso, rialzato, bontà sua. In un battibaleno lui sale sul terrazzo e mi apre dall’interno. È fatta. Insieme riportiamo lo scaleo nella rimessa dove da anni, abbandonato da qualche parte, non trovava più posto. Lo scaleo è a casa e poco dopo anch’io. Con la netta sensazione che mai mi sono davvero allontanata da quella vera casa, dalla quale senza interruzione continua ad arrivare aiuto e ispirazione.

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