Il mito della creazione

Il mito della creazione

Il presepe.

Maria e Giuseppe sono i nomi d’occidente, per il principio femminile e quello maschile, nell’umano. Sciogliendo i legami con le credenze religiose, d’intuito magari, non è difficile arrivarci. Quell’intuizione si è fatta densa rivelazione per me, qualche anno fa, mentre stavo costruendo il primo presepe, con mia figlia. Nel farlo ho sentito la forza ancestrale di un rito pagano – omaggio alla Terra e ai suoi cicli – prima di essere assorbito dalla vuota ritualità istituzionale. Cavalcando il ritmo e la luce stagionale – l’avvicendarsi al solstizio – si comincia con uno gnomo creatore – creandolo. Dico gnomo, ha tuttavia davvero un sesso? È gnomaegnomo.

Insomma, lo si lascia nascere, arrendendo le mani a quella forma che “conosciamo” come gnomo – quale espressione della forza Creativa.

Lo si può fare utilizzando lana non cardata, pannolenci o altri materiali, molti plastici. Plasmarne la forma mette agilmente in contatto con lo spirito e le informazioni che in profondità ne sono sorgente. Questo accade, attenti e dediti all’opera, anche nel creare, successivamente, una pecora, per es.  Soltanto quando se ne è colta l’anima (il movimento essenziale), quella che abbiamo tra le mani assomiglierà alla pecora, sarà riconoscibile come tale.

Lo gnomo avrà una bella saccoccia. Da quella usciranno, nella prima settimana d’avvento, le pietre, i sassi – il regno minerale.
Il bambino o i bambini di casa – i nostri figli – l’avranno raccolte, con cuor curioso, insieme a noi. E saremo poi noi a farle uscire dal sacco, a sorpresa.

Con quelle si traccerà uno stradello ritorto, che porterà in seguito all’ingresso della grotta. Alcune saranno anche rocce e rilievi. Che gioia essere partecipi della creazione!

Nel frattempo passa una settimana, durante la quale si può alzare un velo, uno scialle azzurro per il cielo, abitato dalle sue creature celesti, alate. E anche per gli angeli le mani si renderanno abili. Sarà più facile che per le pecore, visto il dettaglio delle ali. E poi le stelle! Ritagliate dal cielo.

Quando la settimana è trascorsa, lo gnomo avrà in saccoccia fronde, muschio, verdità – il regno vegetale. Si comincia così a poggiare il muschio, di giorno in giorno, non tutto insieme. La creazione non ha fretta e i bambini di casa possono cercare dettagli dalla Natura, per l’intera settimana. Che lieta sensazione l’umido verdeggiare del muschio! Chi e che cosa attende?

Ed eccoci alla terza settimana dell’avvento. Lo gnomo questa volta che cosa ha in saccoccia? I bambini fremono per l’attesa.

È il tempo dell’arrivo degli animali – il regno animale. Arrivano capre, pecore, polli, conigli, cigni, cavalli, asini, mucche… che sono disposti sul morbido tappeto verde. Alcuni si abbeverano – non c’è verde senza acqua – altri scivolano su uno specchio d’acqua creato lì per lì. Che divertimento! Provare a fare i cigni, è coglierne l’inFormaZione. E per restare in ascolto con tutto il corpo, faccio posto al silenzio e al raccoglimento. Ecco ciò che appaga nell’arte, percepisco.

Poi è in arrivo la quarta settimana. Anche questa volta lo gnomo non deluderà, arrivando con la saccoccia piena, di?
L’uomo e la donna – esemplari del regno umano. Maria e Giuseppe. Ma potrebbero essere Elena e Roberto, Paola e Francesco, Angiola e Remo… e nel più lontano oriente Radha e Krishna.
Reverenza… Gli occhi del bimbo sanno senza sapere. Ecco il mistero, vasto: l’uomo e la donna e la vita che grazie al loro incontro si perpetua.

Il passo da uomo e donna a padre e madre è un naturale evolversi creativo, da lì a qualche giorno, quando ecco che si manifesta il bambino, tanto atteso.
Quel bambino per il quale l’intera creazione si è messa in ghingheri.

Quel bambino nasce, dal profondo di una pancia, sì, insomma, in una grotta. La grotta di Maria.
Tutte le creature, in modi diversi, hanno conosciuto una qualche forma di grotta – anche le pietre, anche gli alberi – prima di vedere la luce. Sia essa pertugio pietroso, seme, uovo…

Il bambino di casa che osserva con la bocca aperta, ascoltando con gli occhi e con gli orecchi – anche con le mani – il semplice racconto delle origini, sa dall’inizio che è lui a essere atteso. Sa che si tratta della celebrazione della sua, di nascita, sa che quell’attesa è la sua attesa, che ora si rinnova e culmina. È un modo per dirgli: “riconosco il divino in te”.

Sa che quelli sono mamma e babbo e quel bambino è ogni bambino. È una conoscenza delicata, si rompe con niente. Accessibile in questo modo fino al settimo anno, al nono magari.

E guardando l’opera finita, ecco la nostra Terra, con i suoi regni e il suo firmamento, le acque, la Natura, gli animali, la donna e l’uomo.
Noi siamo arrivati per ultimi e rendiamo loro grazia.
Così ne siamo colmati.

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