Un po’ di chiarezza sul fenomeno mindfulness

Un po’ di chiarezza sul fenomeno mindfulness

La mindfulness è molto gettonata in questo momento. Il che non guasta per niente.

È tuttavia interessante osservare il funzionamento dei trand ovvero della moda. Mi piace soffermarmi un attimo sulla ciclicità di certi fenomeni. Intanto, per cominciare, la parola mindfulness si riferisce semplicemente alla capacità di essere consapevole, all’atto di consapevolezza. Non è come alcune scuole vorrebbero farci credere appannaggio dei protocolli secondo Kabat Zinn, che ha, di fatto – in modo brillante  – applicato la più classica vipassana, alla clinica e al mondo della psiche.

A tale proposito ho sentito dire questo da Osho. Che lui preferisce usare il termine Awareness (Consapevolezza) laddove Atisha usava la parola Consciousness(Coscienza nel senso di Consapevolezza, non coscienza morale) – Mindfulness (consapevolezza) per il Buddha.
Con tutto il rispetto per i vari esperti di mindfulness, a questo faccio fede. E non perché Osho mi sia toccato come maestro in questa vita piuttosto per la sua inequivocabile saggezza incarnata che ho avuto modo di testimoniare.

Durante un ritiro ho anche sentito dire da Tolle, educatamente, che – no grazie – il termine mindful non lo interessa e non intende assoggettarvisi. Quel mind nell’espressione mindful, ha, a suo avviso, un peso specifico non indifferente. Anche secondo me le parole vibrano, e non sono aria fritta interscambiabile.
Anzi a mio avviso, il successo della parola, sta nel far sentire comode le istituzioni psicologiche, cliniche e psichiatriche e il loro canale preferito: la mente. Una sorta di positivo istituzionalizzarsi (mi auguro non imborghesirsi) della meditazione.

Il mindfulness, ha, alla base, l’approccio progressivo buddhista, con cui di certo la mente occidentale va a nozze. Più diretto e poco istituzionale quello zen, passato di moda. Del resto, un minimo di burocrazia, a un certo tipo di mente piace ed è utile per arrivare alle masse.  Alla mente in genere piace l’idea progressivo-migliorativa.
Migliorerai è uno dei moniti più allusivi e illusivi che credo di conoscere. Ottimo per vendere, del resto.
E tutti contenti e felici con i nuovi giocattoli, composti, rieducati, ripuliti e sterilizzati. Se funziona, del resto, ben venga.
Per quanto?

Ed è anche vero che del Buddha, si tende a prendere il pacchetto più conveniente. La vipassana, diventata poi buddhista. Come la preghiera per la Chiesa, che ne ha predato l’esclusività del copy.  Se si va a vedere nel V. B. Tantra ci sono almeno otto forme di vipassana, nell’accezione dell’osservare il respiro, altrettante in quella di osservare le sensazioni fisiche e svariate riguardo il testimoniare i pensieri, le emozioni, l’atto del mangiare, dell’incontrare un amico che non vedo da tempo fino ad estendersi all’atto dell’amore fisico. C’è qualcosa che non sia osservabile? Qui di Buddha non c’è neanche l’ombra. C’è una coppia, piuttosto. Shakti (o Parvati) e Shiva, sotto forma di amanti, di candidi amanti che si pongono le domande essenziali. Sì, la coppia che procede insieme, non solo nello scoprire come ritrovare la freschezza dell’eccitazione perduta.

Quale lascito fondamentale del Buddha si tende a perdere nella mindfulness (non sempre, ovvio)?
Sammasati – la consapevolezza senza un contenuto e senza un contenitore ovvero – cito me stessa – ricordati ciò che non può essere dimenticato.
Chi o che cosa vuole migliorare? Chi sei veramente è migliorabile? Chi sei davvero può stressarsi? Può avere disturbi psichici? Queste sono le domanda scomode che rimangono sospese nel generico utilizzo della mindfulness e negli approcci progressivi e progressisti.

L’essenziale è rimosso a favore di un più sportivo coaching – del resto è ben da quel mondo che viene la parola abusata (abusiva?), coach. Detto questo ben venga la mindfulness e i sui benefici.
Anche il viagra ne vanta una lunga lista ;-). Momentaneamente normalizzante. Ora esagero, so che la mindfulness è molto di più ed è da dove vieni che fa la differenza, oltre le pratiche e le parole per nominarle.

Conosco anche questa obiezione: «Bhe, non tutti sono pronti a iniziare dalla fine!». Finezza psicologica, certo. Di fatto, chi non è pronto è il facilitatore. Niente di male, sian qui per migliorare, in fondo.
È vero?

Criticona direte voi. No, grazie. Semplicemente disincantata.
E se uso la parola mindfulness sappiate che è giusto per farmi strada in un ginepraio.
Quando l’ho usata in modo pioneristico diversi anni fa, in un seminario chiamato cibo, eros e mindfulness – peraltro venivo da un aggiornamento chiamato mindfulness e sessualità – i più non mi hanno capita. Ora è prassi. Azz, il tempismo!!!

 

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