Consapevolezza, cosa? Consapevole, chi?
Voler portare il “lesso” a casa impartendo, d’incanto, la consapevolezza agli altri, non può funzionare.
È una pretesa.
Pensieri sparsi,
nati da una fresca conversazione lampo:
La parola consapevolezza è ormai servita in tutte le salse.
Si trattasse solo della parola! Ci siamo convinti, nel tempo – pare – che sia una “cosa”. Da dispensare. A pago, aggratis o con un’offerta – indovinate di che tipo?
Consapevole, Watson!
Vincolante, anche se non vuol sembrare tale.
Si tratta, di fatto, di un termine astratto; di “un come essere” impartito – nella mischia – anche dai più eccellenti “spin doctors” di Davos, per far beccare i piccioni, là fuori, con nuovi brands, nuovi modelli sedanti a cui assomigliare, momentaneamente soddisfacenti.
Se sei consapevole fai – e non fai – questo e quello…
La newage è stata l’ipnosi meglio riuscita, sembra.
Io ci son cascata.
Ti dico come essere genitore consapevole, adulto consapevole, partner consapevole, consulente consapevole, lettore consapevole, operatore consapevole, consumatore consapevole… così, fino alla nausea.
Alla domanda: chi o che cosa è consapevole?
Che cos’è, dunque, la consapevolezza?
Ognuno si riferisce al suo sogno personale e, può rendersi evidente che non ne abbiamo la minima idea e – sorpresa – ci sta che averne un’idea sia essa stessa un’idea.
“Non due” – disse scodellando il riso – il “patriarca” zen Nansen.
C’è dunque consapevolezza – se esiste – e tuttavia non un me, te consapevole? Po’ esse? 😀
“Consapevolezza” è una parola. E le parole non sono “cose”, come la mappa non è il territorio.
È giusto una condivisa consuetudine comunicativa fatta “cosa”, che sembra possa essere perduta, trovata; che cresce, diminuisce, avanza, si sviluppa; che ti posso insegnare, che puoi acquisire definitivamente… A seconda di come la lavi, si allarga, si stringe; s’infeltrisce quando sei arrabbiata e non fai la brava… Slogan, slogan, slogan.
Inquinamento di teste e cuori.
E così sia!
