Omaggio all’albero, al fuoco e all’intelligenza suprema della Terra

Omaggio all’albero, al fuoco e all’intelligenza suprema della Terra

Con l’augurio che per ogni albero che va a fuoco un altro, più forte, ne nasca dalle ceneri.

Ho piantato diversi alberi, da sola o in compagnia. Ne ho ereditati altri, per puro caso, se esiste.
Alberi da frutto, che ho visto crescere e di cui ho goduto l’offerta, fosse anche una manciata di olive. Un ciliegio, cresciuto in fretta, l’ho visto anche morire, dopo abbondanti raccolti.

Ho piantato, poi, un piccolo, piccolo frassino (prima che lo dicesse Jodorowski 😉 ). L’ albero della manna, come da tempi antichi si sa, in Sicilia. Qualcuno me lo ha donato, potendo io usufruire di terra, su cui piantarlo.

Nessuna particolare velleità ecologica e di salvezza ha mosso le mie agili e inesperte mani. Voler salvare, il mio ombelico ne è testimone, è togliere dignità e forza. L’ho amato invece dal primo momento, seppur compiacendomi di farmi unica e personale custode. Compiacimento frivolo. Un frassino sarà un gigante – se è dato – perché lo è già.

Da subito la magnificenza e la potenza del grande albero insita nel suo lentissimo crescere, mi ha toccata e, al contempo, delusa. Ha deluso la mia momentanea pretesa di essere artefice della sua crescita.

Era nuovo quel sentimento di particolare reverenza di fronte ad una creatura così imponente, che so di non poter vedere, con questi occhi, nel suo pieno sviluppo. Ci facciamo, per ora, compagnia.

Il primo inverno – questo in attesa è il terzo che lo aspetta – ho dubitato del suo farcela. Non c’era niente che potessi aggiungere, a parte, ogni tanto, salutarlo con occhio materno e bagnarlo con la grazia dell’acqua, in siccità.

Ogni forza si era ritirata all’interno, fino a rimpicciolirlo, fino a farlo sembrare morto. In primavera un nuovo slancio, un nodo-gemma in più. Minuscolo, quasi un niente straripante. Ora, dopo averlo pienamente affidato al cielo e alla terra, imparo la sua lentezza, la pazienza, l’inguaribile fiducia.

Lo mostrerò a mia nipote, che è piccola-piccola come questo alberello, narrandogli che è stata sua madre (mia figlia), un giorno, a donarmelo, per caso. La vincita di una pésca. Aggiungerò che fu proprio in quel periodo in cui, sempre a caso, avevo preso quel racconto, in biblioteca, che narra dei frassini e della loro, antica, nutriente manna.

Cara Terra insegnami affinché io possa passare il tuo insegnamento alle nuove generazioni.
Per celebrarti in pieno, fai che io lo passi cantando, da nonna Nancy a nonna Elsa:

Nee bee wah bow

En die en

Aah key mis kquee

Nee bee wah bow

Hey ya hey ya hey ya hey

Hey ya hey ya hey ya ho

“Cantiamo questa canzone come una ninna nanna. La canzone significa che l’acqua è il sangue della vita di nostra madre terra. L’acqua è il sangue della vita dei nostri corpi”

Clicca >qui per il motivo della canzone.

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