Il trauma e l’ascolto – “un tocco dalla quiete”

Il trauma e l’ascolto – “un tocco dalla quiete”

Riflessioni sul trauma

Se non l’avessi sentito con le mie orecchie, con il cuore, con gli occhi, con la naturale empatia che nasce da un ascolto aperto senza obiezioni; se non avessi preso atto del trauma che emerge alla superficie, con un semplice tocco non intenzionale, sarei, magari, rimasta dubbiosa.

Eppure, durante la condivisione in cerchio, il trauma emerso dall’ascolto fermo e silente del corpo, “scartava” il suo contenuto nelle parole, in una narrazione senza alcuna presa psicologica.
Scartare nel doppio senso di aprire un involucro e riassorbire-eliminare il residuo.

Ringrazio per questa comprensione, attraverso la pratica del tocco e dell’ascolto dalla quiete, Mike Boxhall. A Mike va il mio apprezzamento, per aver dato massima fiducia all’ascolto congiunto di operatore e cliente, nel silenzio.  Egli, con saggia chiarezza, definisce il trauma “un’esperienza non digerita”. Poi, la narrazione – in cerchio o in diade – di tale esperienza, è come un “rimasticare”(senza rimunginare) verso una completa digestione. Un semplice esporre, da uno spazio di testimonianza.

Nell’esplorare questa modalità sono stata “raggiunta” da informazioni sul modo in cui gli Aborigeni  abbiano, nel tempo, affrontato i traumi. Essi, infatti, affliggono l’uomo dall’alba dell’umanità, sebbene possa sembrare che il trauma, solo di recente, abbia acquisito consapevolezza della sua presa sulla vita fisica ed emotiva degli individui. Al punto che, talvolta, l’enfasi posta sulla materia è fin troppa e mal posta.

Dadirri è il nome che queste culture indigene danno al loro approccio al dolore provocato da esperienze traumatiche sovrastanti. «Dadirri è profondo ascolto interiore e quieta, ferma consapevolezza. Dadirri riconosce la profonda sorgente che è dentro di noi. Da essa siamo chiamati ed essa ci chiama. È qualcosa di simile alla “contemplazione”» Afferma Miriam-Rose Ungunmerr-Baumann, Ngangiwumirr Elder (anziana del gruppo Ngangiwumirr)

Questo tipo di ascolto nella quiete è ampiamente conosciuto in tutto il continente australiano, in molti gruppi linguistici, sotto molti nomi. «Quando sperimento Dadirri, sono di nuovo intera». Aggiunge Miriam-Rose.

È un imparare e un curarsi attraverso l’ascolto,  sia come pratica personale che riunendosi in cerchio, dove ognuno si espone con totalità al profondo ascolto dell’altro.
L’essenza del dadirri, in questo contesto più ampio, è la creazione di uno spazio di profondo ascolto contemplativo, basato sul cuore, in cui le storie di trauma e dolore possono essere condivise e testimoniate con amorevole accettazione.

Il tocco, come una sorta di filo a terra, richiama l’impronta somatica del trauma alla superficie e lo scambio narrativo, affidato al puro ascolto, lo spoglia dalla morsa della mente psicologica, che rischia di agire come legna sul fuoco.
E per dirla al modo di Eric Baret, che risuona naturale nelle mie corde:
“Voi vedrete che la paura, l’ansia, i traumi sono sempre in superficie, non ci sono dei traumi profondi.
Ciò che è profondo in noi è la gioia, la tranquillità.
Quando uno esplora il corpo, le vecchie abitudini tornano in superficie, rivelano gli strati di insicurezza e i traumi non lasciano alcun segno.
Questi strati, questo sguardo sulla vita andranno a chiarire la vostra vita.
A questo punto voi non avrete altro da fare, là si fa a vostra insaputa, la vita si prenderà in carico di richiamarvi in un altro momento.
E la vita non è legata a dei concetti di non violenza.
Una vita senza traumi è una vita povera”.

Gli incontri individuali “un tocco dalla quiete” sono disponibili al Centro di Ricerca Ky, Cesena.
340 7880612

Comments

comments