A morte il cavaliere con il drago

A morte il cavaliere con il drago

Girano contro copioni emancipati sull’annosa leggenda, mito o fiaba di Messer Giorgio (poi santo nel senso di integro) e il Drago.
Il Drago è la bestia, il Serpentone che spesso si trova scolpito su pareti di templi e antiche cattedrali, non ultimi i templi tantrici di Khajuraho, in India.

In queste ben formulate obiezioni moderne e pseudo liberanti, la lettura del mito si sposta verso la figura di una fanciulla che non sa più che farsene del cavaliere ma in uno slancio di emancipata indipendenza se ne sbarazza, per andare verso il drago da sola e scoprire che solo lei può salvare se stessa dalle sue trappole e dalla pretenziosa attesa di un qualche omuncolo che la salvi.
Peccato che nel mito, perso nei tempi, si tratti di qualità relative all’integrità del principio divino maschile e femminile e al loro matrimonio alchemico.

Tendiamo a muoverci da un opposto all’altro.
Dall’essere salvate si passa al salvare se stesse.
Da un malinteso al suo contrario. Per logica anch’esso un malinteso.
L’ idea stessa della salvezza costringe nel recinto del peccato originale. Io salvo me stessa ripropone il solito loop. Come ne esco?

Se proprio voglio insistere sulla parola salvezza, è “salvandomi da me stessa” compresa quella che dovrebbe salvarmi, che ne esco.

È allora che la danza del maschile e femminile può essere di nuovo accolta nel darsi naturale sostegno, unendo le differenze che la natura ha donato a entrambe le polarità. Complementarietà più che opposizione.

Ben vengano, dunque, gli uomini che sanno riconoscere e gestire il drago – la bestia – in loro, per donarsi alla donna sollevati dalla meccanicità animale, dall’ ipnosi testosteronica.

È necessario, di nuovo, rileggere i miti, da dentro, secondo l’ intuizione che il principio femminile (presente in entrambi i generi) ci porge.

L’ indipendenza per opposizione, leggibile tra le righe di alcune moderne citazioni liberanti, ripropone quel modello maschile di cui vorrebbe liberarsi. Un po’ come gettare il bambino con l’acqua sporca.

Non è un caso che i Catari, i Cavalieri di un tempo – i Fedeli d’Amore – furono massacrati. Come i Tantrika in Oriente. Sarebbe ingenuo stupirsi se non ci fosse di mezzo la forza sessuale e la sua trasformazione. Il cavaliere, il principe rimanda a quella nobiltà di colui che conosce e domina la forza egoistica e grezza dei lombi per darsi al femminile, esteriore e poi interiore, senza lussuria.
Benedetto il cavaliere allora e il discernimento di una principessa che offre il suo grembo solo per amore poiché di quell’amore è al comando.

Un uomo e una donna tantrici, altro che anticaglie!!!
Il sesso senza totalità, consapevolezza, che sono altre parole per amore, preda e fagocita la donna come la cieca e meccanica avidità della Bestia, del Drago. La Principessa dunque non è una stupida fanciulla condizionata ma la dolce ed elevata natura del principio femminile risvegliato e risvegliante.

La donna che dice “faccio tutto da sola” (per carità legittimo e magari bisogna passarci), mi ricorda quella canzone di Gaber che dice: “mi sono fatto tutto da solo, mi sono fatto tutto di merda”.

 

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